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LA CADENZA OTTIMALE: CHI HA RAGIONE E CHI HA TORTO?

stefanonardelli

Aggiornamento: 19 set 2023



Si sente spesso dire “Devi andare più agile”, “Devi tenere una cadenza di 90-100 rpm”, e via dicendo.

È sempre vero che una pedalata agile sia vantaggiosa a prescindere?

Rendendo merito al ricercatore Jem Arnold, di cui riportiamo in questo articolo parte del suo intervento in un post (bibliografia compresa, che abbiamo ordinato e riportato in fondo), cercheremo di riportare delle risposte a ciò che potrebbe essere considerata la cadenza ideale. Aggiungiamo delle integrazioni nostre derivate da altri articoli aggiunti e da considerazioni personali.


A differenza di quello che alcuni pensano, si è visto che la critical power (che consideriamo come potenza di soglia anaerobica) è maggiore a bassa cadenza (60 rpm) rispetto ad alta cadenza (100 rpm) (Broxterman et al., 2015). La limitazione di tale studio è il livello non alto dei soggetti e dopo vedremo il motivo per cui questo aspetto può influenzare i risultati. Anche il tempo di esaurimento sembrerebbe migliore a basse cadenze rispetto ad alte cadenze, mentre il W’ non viene influenzato (Barker et al., 2006; Figura 1). Quindi, basse cadenze promettono prestazioni migliori durante sforzi più estensivi, mentre non c’è grossa differenza in sforzi brevi. Questo non è un caso, scopriamone il perchè.

Figura 1

In uno studio che andava ad esaminare le diverse cadenze in un test incrementale massimale, si è visto che, nonostante il V’O2 fosse uguale in prima e seconda soglia, la potenza invece risultava essere significativamente inferiore nel gruppo che utilizzava alta cadenza (100 rpm vs 60 rpm) (Barker et al., 2006).

Ma è stato anche dimostrato (Figura 2) che al V’O2max la potenza di picco (Wpeak) è molto meno influenzata dalla cadenza utilizzata (Boone et al., 2015) e non è casuale.

Figura 2

Anche le concentrazioni di lattato ematico risultano essere superiori quando la cadenza è maggiore; infatti, con cadenze oltre le 100 rpm la soglia lattacida sembrerebbe manifestarsi a concentrazioni di lattato più alte e a potenze simili o inferiori rispetto a cadenze più basse (Beneke et Alkhatib, 2015; Zoladz et al., 2000). Quindi, è piuttosto evidente come cadenze più basse permettano un minor costo (minor V’O2) e una maggior efficienza ad intensità sub-massimali. D’altra parte, Sassi et al. (2009) ci riportano come - tendenzialmente - i ciclisti optano per un range di cadenza tra le 80 e le 100 rpm, anziché le 60, andando contro ciò che apparirebbe più logico seguendo il filone degli studi. In realtà nessuno ha ragione, nessuno ha torto.

Quello che si nota è che, con l’aumentare del carico esterno (watt), la tendenza della cadenza autoscelta è quella di salire, come si vede in Figura 3 e 4 (Ansley et Cangley, 2009; Hansen et Ronnestad, 2017; Blake et Wakeling, 2015).

Figura 3 e 4

Notiamo dalla Figura 5 come ci sia un range ideale in cui non si ha un eccessivo reclutamento muscolare e questo avviene proprio tra le 80 e le 100 rpm nelle potenze che vengono maggiormente ‘colpite’ dai ciclisti. Per alcuni gruppi muscolari il profilo può cambiare. In generale, è facile notare una forma ad “U” quando vengono messe a confronto cadenza, potenza e costo energetico.


Figura 5

Questo spiega alcune cose accennate sopra (Ettema et Lorås, 2009):


· il perchè una cadenza più bassa comporti maggiori potenze ad intensità sub-massimale;

· il perché la potenza al V’O2max non differisce molto a differenti cadenze;

· il perché atleti di alto livello utilizzi e sia più efficiente a cadenze più elevate alla stessa intensità relativa


In particolare, il maggior fattore che influenza l’ultimo punto è la fatica neuromuscolare indotta da torque troppo elevati a cadenze basse e potenze elevate. Spesso, la cadenza autoscelta corrisponde ad una RPE minimizzata, ovvero quella alla quale si assiste ad un bilanciamento ottimale tra efficienza metabolica (V’O2) e torque (forza espressa sui pedali) (Ansley et Cangley, 2009).

Sviluppare 400 watts a 60 rpm comporta un aumento del torque da applicare ai pedali quasi doppio rispetto a svilupparli 100 rpm (63,7 vs 38,2 Nm), che corrisponde a 25,5 Nm in più in termini assoluti. A 250 watts la differenza assoluta diminuisce di molto nonostante quella relativa sia identica; infatti, a 60 rpm si devono sviluppare 15,9 Nm in più rispetto a 100 rpm, molto meno dei 25, 5 a 400 watts. Per questo motivo, nonostante anche i ciclisti di alto livello abbiano un costo metabolico maggiore a cadenze più alte, tale costo viene compensato dalla spesa maggiore che invece deriverebbe ad andare a basse cadenze ed alte potenze: livelli di forza tanto alti da implicare un maggior reclutamento di fibre di tipo II, che sono più faticabili.

Un altro importante fattore da considerare è la durata della seduta. Argentin et al. (2006) hanno indagato l’effetto della cadenza prima e dopo 2 ore al 65% della MAP (una Z2 spinta/Z3 bassa) su triatleti di buon livello (66 ml min-1 kg-1 di V’O2max). Quello che hanno notato è un decremento significativo della cadenza ottimale che minimizzasse il costo energetico (Figura 6). I ricercatori ritengono sia legato all’affaticamento delle fibre di tipo II (glicogeno, ROS, …).

Figura 6

La minor efficienza a cadenza elevate ha a che fare con (Gregory et Bickel, 2005; Saltin et al., 1998):


· flusso sanguigno

· proprietà contrattili delle fibre

· reclutamento muscolare


Il flusso sanguigno agli arti inferiori aumenta linearmente con l’aumento del carico esterno determinato dalla potenza (Figura 7), infatti la maggior richiesta di ossigeno ai muscoli in esercizio comporta un adeguamento del flusso ematico (Saltin et al., 1998).


Figura 7

Il flusso di sangue è maggiore ad alte cadenze. Maggior flusso significa maggior V’O2, ma la capacità estrattiva a livello periferico (a-vO2 diff) rimane inalterata ad un determinato carico; quindi, questo significa che cadenze più elevate non portano flusso sanguigno e ossigeno extra al muscolo in esercizio, ma questo extra è dovuto semplicemente al costo maggiore indotto da alte cadenze (Ferguson et al., 2001). Da dove proviene questo extra costo?

A livello di fibra, il costo di contrazione aumenta con l’aumentare della velocità e dell’accelerazione della contrazione, indotte tipicamente da alte cadenze. Quindi, maggior velocità e accelerazioni aumentano il costo energetico e conducono ad un reclutamento di fibre più veloci di tipo II (Umberger et al., 2006). Il maggior costo energetico a livello di fibra include il maggior flusso di ioni, la maggior inerzia e le maggiori perdite viscoelastiche. Come si evince in Figura 8, se sommate per più fibre, queste inefficienze portano ad un lavoro metabolico interno maggiore a parità di carico esterno (Formenti et al., 2015).


Figura 8

Il costo maggiore ad alte cadenze è dovuto anche ad un maggior lavoro richiesto durante esercizio da parte dei muscoli secondari, che devono lavorare maggiormente per stabilizzare e permettere ai muscoli primari - coinvolti nel movimento - di produrre carico esterno utile. Ancora una volta (Figura 5), più masse muscolari reclutate, maggior consumo e trasporto di ossigeno e maggior flusso sanguigno (Blake et Wakeling, 2015). Una maggior richiesta di ossigeno e flusso sanguigno comporta quindi una maggior gittata cardiaca, data dalla combinazione di aumentate frequenza cardiaca e gittata sistolica (Coast et Welch, 2015; Gotshall et al., 1996), come si vede in Figura 9, 10, 11 e 12 ad un carico esterno di 200 watts..


Figura 9 e 10

Figura 11 e 12

Nonostante un maggior utilizzo della percentuale di V’O2max, allenarsi ad alte cadenze ad intensità sub-massimali non comporta però miglioramenti del V’O2max rispetto ad allenarsi a cadenze più basse (Tomabechi et al., 2018). Questo perché l’estrazione non aumenta nei muscoli in esercizio e il maggior consumo d’ossigeno è dovuto principalmente al lavoro extra e non tanto ad una maggior potenza espressa.

Secondo lo studio di Hill et Vingren (2023) su soggetti giovani poco allenati, sembrerebbe però interessante utilizzare cadenze più alte rispetto a quelle usuali entro il primo minuto in intervalli ad intensità di V’O2max, per poi proseguire l’intervallo a cadenze normali per non influenzare negativamente il tempo di esaurimento (Figura 13); infatti, questo comportamento permetterebbe di accelerare la cinetica del consumo di ossigeno (la componente veloce) per avere maggior contributo da parte del sistema aerobico in questi intervalli, considerando che la potenza al V’O2max non viene influenzata da cadenza diverse. Però è da dimostrare se il contributo maggiore dato dal sistema aerobico sia dovuto al maggior costo (vedi sopra) o effettivamente ad un maggior utilizzo di ossigeno da parte dei muscoli coinvolti durante l’esercizio nella prima fase degli intervalli.


Figura 13

Ma effettivamente, una gittata cardiaca fin da subito importante potrebbe condurre a maggiori miglioramenti in termini di V’O2max? E questo permetterebbe di passare effettivamente più tempo a consumi di ossigeno target (ad es 90% del max) se vengono presi più intervalli svolti con queste modifiche sulla cadenza? Tanti quesiti, poche risposte, ci vorrebbero più studi a riguardo.

È comunque dimostrato che allenarsi a cadenze più alte rispetto a quelle a cui si è abituati comporta una migliorata efficienza alle cadenze abituali, ma non necessariamente maggiore prestazione su prestazioni secche (Whitty et al., 2016).

Quello che si è riscontrato è che ciclisti di più alto livello riescono a produrre più potenza attraverso il reclutamento dell’articolazione dell’anca (gluteo) piuttosto che coinvolgere maggiormente l’articolazione del ginocchio rispetto a ciclisti meno allenati; in questo modo possono distribuire il carico su muscoli di più grandi dimensioni. Il muscolo gluteo contribuisce anche a sviluppare più potenza a cadenze più basse (Aasvold et al., 2019; Leary et al., 2021). Ma per questo non si sa ancora se allenarsi a basse cadenze possa migliorare l’adattamento del muscolo gluteo o allenarsi ad alte cadenze possa migliorare la coordinazione per reclutare lo stesso (Aasvold et al., 2019; Leary et al., 2021).


CONCLUSIONI


Tenendo in considerazione determinati carichi esterni, cadenze troppo alte hanno un costo metabolico maggiore ([La+], V’O2, gittata cardiaca, flusso sanguigno, ecc). Anche cadenze troppo basse però sono associate ad un costo energetico maggiore quando il torque è troppo elevato. Di solito la cadenza autoscelta si dimostra essere quasi sempre quella ideale, salvo in alcuni casi. La cadenza ottimale tende a crescere con il crescere del carico esterno e in genere risiede tra le 80 e 100 rpm (negli sprint ad alte potenzela cadenza ideale è anche maggiore). Questo spiega come atleti con una maggior fitness, ovvero, semplificando, con valori di soglia molto elevati, tendono a optare per cadenze normalmente più alte.

Cosa è meglio?

Dipende molto dall’atleta che abbiamo di fronte e dalle sue caratteristiche. In alcuni casi, se non si presenta un’ottimizzazione autonoma della propria cadenza, potrebbe essere utile un intervento per agire sulla cadenza autoscelta.

Perché nelle categorie giovanili viene quasi ‘obbligata’ l’adozione di alte cadenze? Perché i/le ragazzi/e in età pre-adolescenziale si trovano in una fase sensibile per lo sviluppo del sistema nervoso, che permette di migliorare e consolidare con maggior facilità alcuni schemi motori che richiedono più coordinazione (Martin et al., 2004). Questo consolidamento, se passeranno poi nelle categorie superiori, permetterà loro di adattarsi con facilità a schemi motori già consolidati per esprimere potenze più elevate.


Dott. Stefano & Matteo Nardelli


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